YOUR HONOR NON È BREAKING BAD

Il pleonasmo non suoni sterile. C’è già chi ha tacciato di scarsa autenticità le rentrée di Bryan Cranston da protagonista in una serie tv. “Torna a fare Walter White” hanno scritto. Un abbaglio.

Il pleonasmo non suoni sterile. C’è già chi ha tacciato di scarsa autenticità le rentrée di Bryan Cranston da protagonista in una serie tv. “Torna a fare Walter White” hanno scritto. Un abbaglio. Se non fosse per lo sviluppo a spirale negativa dei rispettivi destini, il Giudice Michael Desiato non avrebbe nulla a che vedere con il professore di chimica di Breaking Bad. Diverse sono le posizioni di partenza, diverse le motivazioni, diversi i rivolgimenti interiori che devono affrontare.

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Il protagonista di Your Honor è un uomo che occupa un posto importante nella società. È un magistrato con un alto senso della giustizia che amministra senza miopie, comprendendo le conseguenze sociali delle sue decisioni. Un liberal capace di leggere ed interpretare non solo i codici giuridici, ma anche quelli umani. Da uomo, deve convivere con un grande dolore: la perdita della moglie, un anno fa, non ancora digerita. Lutto da cui gli deriva un attaccamento disperato all’unico figlio Adam, un ragazzo sensibile e vulnerabile. Un legame viscerale che nel momento in cui il ragazzo si mette nei guai investendo a morte il figlio del maggiore gangster di New Orleans, fa scaturire dal profondo l’impulso ancestrale di difenderlo a dispetto e contro i principi su cui ha basato la sua vita. Qualcosa di non sovrapponibile a un professore di liceo condannato alla mediocrità, frustrato e con un cancro, in ansia per le sorti di moglie e figlio malato, come Walter White. Lui trova un altro se stesso, un doppio criminale, spietato e senza scrupoli che risponde al nome di Heisenberg; Michael Desiato subisce invece un richiamo primordiale che lo pone faccia a faccia con la parte buia di sé.

Se davanti alle malefatte sempre più rocambolesche del prof che produce e vende metanfetamina ti trovi a parteggiare per un uomo medio trasformato per caso e necessità in un boss, in Your Honor non sai che pesci prendere. Da un lato non puoi non identificarti con un padre che cerca di salvare l’ultimo suo affetto familiare rimasto. Dall’altro non riesci a non sentirti anima e corpo dentro la gran parte dei personaggi che le sue mosse tirano in ballo. Cosa faresti nei panni dei genitori della vittima? O in quelli del ragazzo estraneo ai fatti ma costretto dalla sua gang ad assumersi la responsabilità del delitto? La forza dell’intreccio che Peter Moffat ha elegantemente adattato dalla serie israeliana Kvodo è nello sviluppo orizzontale di una storia che implica, attraverso un continuo cambio di punto di vista, una molteplicità di sguardi dentro di sé.

Non sappiamo ancora dove ci porterà questo legal thriller in cui la giustizia deve vedersela con la vendetta, l’insabbiamento, le convenienze politiche, il razzismo, le confessioni estorte con la violenza, gli equilibri criminali, gli amori e gli odii. Sappiamo però fin da adesso che difficilmente potremo sederci sui banchi della giuria a giudicare sereni e distaccati fatti che parlano, prima che di crimini, di istinti ancestrali che giacciono sotto i blazer e i tailleur di circostanza.

Sergio Gamberale

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