Figuriamoci se l’immagine di una donna nera nei panni di Anna Bolena non riesumava i puristi della verosimiglianza storica e non scatenava i contestatori del “politicamente corretto”. Prima ancora di andare in onda sulla rete britannica Channel 5 e dopo un assaggio al tempo del casting, la scelta della produzione di ingaggiare Jodie Turner-Smith per il ruolo della più famosa e sfortunata delle consorti di Enrico VIII d’Inghilterra ha suscitato con una semplice foto (qui su) aspri commenti polemici su social e stampa. Si va dai nerd che “Anna Bolena era bianca, che senso ha farla interpretare da una nera?”, passando per i moderati del “vanno bene i neri in Bridgerton, che è opera di fantasia, ma qui si esagera” fino ai complottisti ariani che “pensate cosa accadrebbe se si facesse interpretare a un bianco il ruolo di un personaggio storico nero, apriti cielo!” e denunciano l’ormai raggiunta supremazia culturale dei neri sui bianchi nello showbizz. Il che fa già ridere di suo.
Dei primi sarebbe interessante sapere se storcano la bocca anche davanti ai falsi storici della Madonna in abiti rinascimentali nell’Annunciazione di Leonardo o dei personaggi “moderni” nella Vocazione di San Matteo di Caravaggio. Degli altri ci si chiede cosa sappiano del personaggio Anna Bolena. Se abbiano mai letto la triste storia di questa donna intelligente e sfortunata, capace di conquistare un ruolo sociale di prima grandezza e di esercitare il potere acquisito con qualità superiori a quelle del consorte regnante e che per questo fu accusata di essere usurpatrice e strega; se non gli ricordi nulla, nell’attualità, il fatto che questa donna fu mandata a morte dopo un vergognoso processo segnato da confessioni estorte sotto tortura.
Si trattasse di un documentario, i puristi avrebbero qualche ragione ad obiettare, ma nell’arte della rappresentazione non ha alcun senso invocare dogmaticamente la verosimiglianza, in quanto il messaggio insito nei fatti storici narrati è destinato ai contemporanei ed è sulla capacità di trasmetterlo nell’oggi che si gioca la fortuna di un’opera. Nulla di strano dunque se per portare all’attenzione del pubblico del XXI secolo la tragica vicenda di una donna del XVI vittima di pregiudizi e odio si scelga un volto attuale che rimanda, per il solo colore della pelle, ad analoghi destini di ingiustizie e rancori contemporanei. Anzi, è una scelta giusta. Non perché si possa in qualche modo paragonare Anna Bolena a una delle tante vittime afroamericane dell’ingiustizia sommaria stile George Floyd, ma perché chi vive oggi e ha assistito a quei fatti può, attraverso l’immagine della Bolena nera, avvicinarsi emotivamente alla tragedia della vera Anna, immedesimarsi in lei, comprenderne e viverne il dramma. Bridgerton poi non c’entra nulla. Lì si giocava a immergere dei personaggi contemporanei nel mondo di inizio Ottocento, qui al contrario si tenta di portare eventi tragici del passato alla sensibilità del pubblico di oggi.
E sia chiaro che diciamo può avvicinare, perché la riuscita o meno dell’opera sarà valutabile solo quando Anne Boleyn, thriller psicologico in tre puntate, sarà trasmesso. Ovviamente non basta una scelta di casting a decretare il risultato di uno show. È sufficiente però, come vediamo in questi giorni, a smascherare la superficialità di giudizio di molti commentatori sempre pronti a tuffarsi nella polemica.
Sergio Gamberale