Il fatto che a condurre le danze sia un giornalista non deve trarre in inganno: il talk show, così come lo vediamo declinato ad ogni ora e su ogni canale sette giorni su sette, non ha molto a che vedere con l’informazione. La ripetitività dello schema di racconto, con il ricorso ai soliti personaggi o tipi che si incontrano e scontrano a orario fisso in un continuo conflitto dialogico di stampo teatrale (molto spesso con pubblico plaudente in sala) ha ormai trasformato il genere in una sorta di sitcom live. Di basso livello, bisogna dire.
In un luogo sempre uguale a se stesso, un gruppo di personaggi stereotipati si esibisce in uno show di dialoghi in cui ciò che risalta maggiormente è il contenuto tra le righe. Poco importa che al centro del canovaccio ci sia l’attualità politica, quello che emerge nei talk show è sempre e comunque il confronto tra tipi ben conosciuti, impegnati ad attirare l’immedesimazione del pubblico attraverso la traduzione in testi semplici di questo o quel sentimento comune. L’espertone nichilista, la pasionaria antistorica, il polemista saccente e così via sono la materia prima su cui Lilli Gruber e compagnia bella tessono le trame dei loro raccontini.
Come ben sanno gli autori, quelli palesi e quelli occulti (uffici stampa, p.r.) perché le chiacchiere davanti alle telecamere facciano spettacolo bisogna che contengano non solo il conflitto delle idee, ma soprattutto lo scontro tra personaggi, che consenta al pubblico di empatizzare con uno dei contendenti. Concetti come verità oggettiva o verifica dei fatti sono totalmente fuori da questo gioco, così come il giornalismo nella sua più nobile accezione. Se la drammaturgia di una puntata lo richiede, anche chi neghi apertamente la Storia affermando tesi assurde può trovare un ruolo nella commedia del talk show. Purché sappia provocare e far polemica, tenere alta la tensione e l’attenzione, attirare per simpatia o antipatia un buon pubblico, incassare insulti e applausi.
È il talk show business, bellezze, lo spettacolo che i produttori amano perché a basso costo, i conduttori adorano perché facile, i protagonisti agognano perché chiave per il successo e gli spettatori subiscono in mancanza di vera informazione. Uno spettacolo triste e decadente che ormai non è più specchio ma faro di un ambiente politico avvitato in una funesta spirale verso il basso fatta di luoghi comuni e frasi vuote ad effetto, cariche polemiche fasulle e intellettualismi fini a loro stessi.
Sergio Gamberale