A prima vista la giudicheresti non un gran che. Personaggi tratteggiati con superficialità, una goffa ambientazione austro-ungarica, un giallo intriso di occultismo. Insomma una serie da guardare con un occhio solo, per gustarsene le atmosfere rarefatte senza caderci dentro. Ma il protagonista si chiama Sigmund Freud e il suo obiettivo, nella Vienna di inizio Novecento, è affermare il nuovo e rivoluzionario metodo di indagine nella mente umana su cui sta lavorando. Perciò, poco importa che il personaggio Freud sullo schermo sia un giovane medico cocainomane che si trova a interpretare le visioni di una medium circa un fatto di sangue; il fatto è che dovrà faticare a far accettare alla scienza ufficiale le sue fondamentali e clamorose scoperte. Che aprono nuove strade nella conoscenza dell’essere umano.
Insomma se la si prende come una metafora va giù. Non uno dei fatti narrati è vero, ma il succo è autentico. È la storia della lotta culturale che il vero Sigmund Freud dovette affrontare nel mondo accademico dell’epoca per dimostrare teorie rivoluzionarie che rendevano spiegabili aspetti prima non esplorati della realtà. Quella della psiche.
La serie austro-tedesca-ceca immerge Freud in un mistero, lasciandogli accanto diverse figure storiche quanto lui, per farci assistere al nascere della sua illuminante e controversa teoria. Quello intorno a cui ruota la storia è un giallo, con la ricerca di un assassino brutale, ma le armi con cui il personaggio indaga sono quelle, testuali, del vero e storico Sigmund Freud. Davvero una strada originale, per un biopic sul padre della psicanalisi. Se vorranno andare avanti però, i creatori Marvin Kren Benjamin Hessler e Stefan Brunner dovranno trovare il modo di far crescere il rapporto tra il pubblico e il protagonista, andando al di là del pur innegabile fascino di Robert Finster.
Sergio Gamberale
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