DAMIAN LEWIS, IL VOLTO DOLCE DEL DURO

Dalle scene shakespeariane al grande teatro della finanza, passando per le trincee di Spielberg e le lacerazioni del reduce. L’insospettabile ascesa di un personaggio-eroe tormentato e moderno.

Parliamoci chiaro: su una faccia come la sua non avresti scommesso neanche un euro. Anzi, un penny. Perché Damian Lewis è nato l’11 Febbraio 1971 a Londra da padre gallese ma madre discendente di un ex sindaco della capitale Britannica e di un ex medico della Famiglia Reale. Quindi è UK al 100%. Compresa la faccia da ex bamboccione londinese con cui va in giro. Bello, d’accordo. Ma poi? Lineamenti troppo duri per un buono; sguardo troppo dolce per un cattivo. Che ruolo vuoi dargli, a uno così? Qualche particina da comprimario e via nel dimenticatoio, diresti. Certo, guardandolo da giovane e considerando la formazione teatrale, non avresti mai detto che Damian Lewis avrebbe avuto successo e notorietà interpretando sullo schermo ruoli eroici americanissimi. Mai. Eppure è così che è andata.

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Galeotto fu Shakespeare, nel ’98. Quando Damian, nei panni di Laerte in un Amleto con protagonista Ralph Fiennes, viene notato da Steven Spielberg che lo scrittura per Band of Brothers. Una scelta per certi versi assurda, se ci pensiamo. Perché diavolo mettere nel ruolo dell’eroico Comandante Richard Winters della Compagnia aviotrasportata Easy un volto anonimo, un nome sconosciuto, con accento inglese? Scelta azzeccata invece perché tra gli sbarchi, gli assalti e gli assedi sul Fronte Occidentale Damian Lewis ha conquistato il cuore del pubblico americano. E si è cucito addosso il ruolo del combattente.

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Nei dieci anni successivi, fino al 2011, lo vediamo lottare contro il dolore della perdita di una figlia nel film Kean e mercenario senza scrupoli in Stormbreaker, ancora al cinema; poi di nuovo protagonista nella serie Tv poliziesca Life, in cui interpreta un detective che si è fatto dodici anni di carcere per un omicidio mai commesso. Uomini d’azione, feriti e sofferenti.

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Con questo curriculum si presenta, nel 2011, al pubblico di Homeland. Ed è lì che compie il secondo e decisivo passo della sua carriera. Nel ruolo dell’ex militare prigioniero in Medio Oriente e con oscuri rapporti con i terroristi islamici Damian Lewis si consacra star. La serie, adattamento di un’originale israeliano, sembra fatta apposta per esaltare le espressioni enigmatiche di Damian, il suo vigore fisico nelle scene d’azione, il suo sguardo triste e sconsolato da uomo perduto che lotta per riemergere.

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Il vento delle passioni scava sul suo volto i tratti dell’eroe lacerato, né patriota né farabutto, né marito né amante. Indefinibile e complesso. In una parola moderno. Mentre il tormentosissimo affaire sentimentale con l’agente della CIA Carrie (interpretata da Claire Danes) gli accende gli occhi rendendo succulenta la trama parallela che ha contribuito a portare Homeland fino all’ottava stagione. Nel 2013, per i giornalisti della stampa estera la sua interpretazione è da Golden Globe.

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Così il suo nome diventa di quelli che si possono spendere. Garanzia di una presenza importante, indizio di un personaggio in bilico. Qualcuno lo indica perfino come possibile erede di Daniel Craig in 007. Storie. Eccolo invece in Billions incarnare un miliardario ereditiero dall’oscuro passato e duellare con il Procuratore che vuole incastrarlo a tutti i costi, Paul Giamatti. I segreti dell’alta finanza appaiono molto ben nascosti dietro il suo sguardo sicuro, mentre la produzione si avvia verso la quinta stagione.

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Ora Damian Lewis può godersi fama e successo accanto alla moglie, l’attrice coprotagonista di Peaky Blinders Helen McCroy, vista anche in Harry Potter e The Queen. Poi chissà che altro avrà in serbo il destino per questo ex ragazzone con la faccia su cui non avresti scommesso un penny e che invece si è ricavato un posto nell’olimpo delle star.

Sergio Gamberale

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