Tranquilli, nessun pericolo di spoiler. Per capire cosa accade veramente in La Casa di Carta 3 bisogna buttare l’occhio un po’ al di là dell’intreccio puro e semplice. E meno male, aggiungo, perché cimentarsi in una lettura appena vigile del debole copione di Álex Pina e soci vorrebbe dire farsi nemici le orde dei fan di questa banda. Col pericolo di ritrovarsi impelagati in una polemica destinata a diventare più stucchevole della serie stessa. Dunque sorvoliamo con eleganza le cervellotiche assurdità della trama e tuffiamoci a corpo morto tra le righe di questa seconda rapina storica, per tentare di mettere in luce la vera trama nascosta dietro alle vicende dei protagonisti e alle loro maschere da Mister V e tute da tecnici delle caldaie.
Sfrondando la storia di tutto ciò che è azione, genere e trama, cosa racconta in fondo La Casa di Carta? In estrema sintesi e parole povere si tratta dell’avventura di un pugno di sociopatici di diverso tipo e livello che si unisce in un gruppo allo scopo di portare a termine un’azione criminale che li pone in netta contrapposizione alla società ufficiale. Gli asociali insomma si uniscono e attaccano il mondo esterno affermando la loro diversità rispetto a un mondo sbagliato. Il fatto che attacchino il cuore della società capitalista (la zecca prima, la Banca di Spagna adesso), indossino quelle maschere da romantici rivoluzionari, cantino Bella Ciao ci dice che dietro la loro azione criminosa dobbiamo vedere un intento ideale.
È interessante notare che nonostante si attribuisca al capo, il Professore (Álex Pina) un’indole alla Robin Hood, l’idea di distribuire ai bisognosi la straordinaria fortuna accumulata dopo il colpo alla zecca (Stagioni 1 e 2) non viene attuata. Infatti all’inizio della terza stagione troviamo due anni dopo i nostri eroi (quelli sopravvissuti) sparpagliati in incognito tra diversi paradisi del pianeta a fare la bella vita. Soli o in coppia, come il Prof con l’ex poliziotta Raquel (Itziar Ituño) o Rio con Tokyo (Miguel Herran e Úrsula Corberó). Nessun piano di redistribuzione del bottino con le vittime del sistema dominante o roba del genere li tiene impegnati durante le loro noiose giornate all’ombra di palme tropicali o all’interno di ville esclusive. Evidentemente non era quello il loro scopo. Oppure hanno pensato di essere loro i bisognosi. Chissà. Fatto sta che ognuno si sta facendo i fatti suoi all’insaputa del mondo e di chi gli sta dando la caccia.
Ma i nostri vogliono stare insieme, è chiaro. Tornare a combattere l’uno accanto all’altro per una causa comune. Solo così puoi spiegare la decisione di rispondere all’arresto di uno di loro con un colpo ancora più clamoroso del primo. Così, per difendersi attaccando e per tentare di liberare Rio (localizzato e catturato nella sua isoletta paradisiaca per una telefonata all’amante fuggitiva Tokyo, che invece riesce a fuggire) decidono di entrare nel caveau della Banca di Spagna e rubarne le riserve auree. Quello che uno spettatore medio di una gangster story giudicherebbe una cazzata micidiale, nella nostra lettura è invece perfettamente logico. Una rapina li ha messi insieme, un arresto rischia di far saltare il loro sogno e loro che fanno? Un’altra rapina. Per tornare ad essere quelli che hanno scoperto di essere, ovvero parti di un tutto organizzato ed efficiente, un nucleo di una nuova società alternativa a quella che li ha rifiutati e che a differenza di quella li rispetta in quanto individui perché impegnati nella realizzazione di un piano. Loro e l’oro, dunque. Contro polizia e reparti speciali, con arguzia coraggio e sfacciataggine. Per ancora un’altra stagione almeno, insieme. Rincorrendo il sogno di una vita avventurosa e nuova.
Sociopatici di tutto il mondo, unitevi!
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Sergio Gamberale
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