Gli Estranei esistono eccome. Sono quelli che non hanno mai visto neanche una puntata di “Game of Thrones”. Creature tanto indifferenti e impermeabili da non essere state intaccate dalle passioni che hanno regalato a “Il Trono di Spade” il pubblico più numeroso e caldo che mai serie tv abbia avuto. Ora, cosa gli dici a gente così? Come gli spieghi perché miliardi di occhi in tutto il mondo fremano incollati agli schermi in attesa che si compia il finale della saga? Proviamoci, comunque.
Siamo qui perché dal 2011 viviamo immersi in scenari fantastici, magnifico teatro per le imprese di personaggi leggendari raccontati in tutta la loro umanità, ideale e carnale. Siamo qui perché, entrati nel labirinto delle vicende narrate, non abbiamo più cercato l’uscita. Ammaliati dallo spettacolo totale di luci, scene, recitazione, effetti e duelli alla spada, tutto di altissima qualità, ci siamo persi nel calore di abbracci molto più che erotici o negli schizzi di sangue quasi pulp che scandiscono “Game of Thrones”. Abbiamo amato figure discutibili, abbiamo odiato chi magari non se lo meritava. Ci siamo sorpresi a piangere o godere della morte o della sventura di questo o quello. E non ci abbiamo più capito nulla di cosa stavamo guardando. Un Fantasy? Un’epica moderna? Una soap opera in costume? Una tragedia storica?
Occhioni sbarrati, cuore palpitante, abbiamo seguito ascese e cadute di questo o quel personaggio. L’orfano guerriero Jon Snow, il nano tessitore Tyrion Lannister, Jamie bello e maledetto. Uomini d’onore e vili arrivisti a scambiarsi i ruoli incastonati in una cornice dei fatti, quella sì, chiara. La morte di un Re folle, la sanguinosa lotta per accaparrarsi il suo potere sui sette regni, le alterne e controverse vicende delle casate nobiliari che se lo contendono. Gli Stark contro i Lannister, i Barathion tra di loro, è una guerra sanguinosa tra dialoghi raffinati, duelli esaltanti, colpi di scena imprevisti. Un’avventura tra paesaggi da sogno, popoli mitici, sentimenti inconfessabili e nudi. E lì dentro, vicende personali e collettive, in una galleria di figure notevoli. Uomini e donne.
La pasionaria Danaerys, la sofisticata e perfida Cersei, la romantica Sansa, la vivace e curiosa Arya. Un campionario di modernissima femminilità infilata nei costumi di un’epoca indefinibile, che somiglia a un Rinascimento ma ha un sapore di un torvo medioevo, senza il Cristianesimo. In un mondo immaginario ma riconoscibile, tra popoli esotici e creature fantastiche. Impegnate in schermaglie verbali o battaglie sanguinose, tra trionfi e vendette; nel bel mezzo di intrighi di corte e segreti di letto, omicidi spietati e fuoco di piacere. Bellissime o almeno dolcissime, comunque piene di fascino come gli uomini cui contendono non solo il cuore, ma il ruolo.
Poi sì, c’è anche il mito horror. La paura che avanza insieme agli zombie di ghiaccio, i Non-Morti, creature da secoli cacciate oltre i confini e ormai credute solo leggendarie che si riaffacciano ora più minacciose che mai. Eroi antieroi e famiglie in lotta tra loro sono ora tutti minacciati da un nemico che non va per sottigliezze. Prima di vedere se e chi si siederà sul trono di spade che riunisce e comanda i sette regni, c’è da vedere se e chi rimarrà vivo per ambire a quel posto.
Vita o morte, potere o oblio. Eserciti schierati, fendenti di spade, draghi che volano e sputano fuoco. La madre di tutte le battaglie è pronta a seppellire con una valanga di emozioni gli echi di mille imprese, follie, raggiri, furbizie, cospirazioni, vendette, amori. Con un diluvio di spettacolo al più alto livello che sancirà la fine di quella storia e di quel mondo. La fine sullo schermo, se non altro. Perché nella memoria di chi l’ha vissuta dall’inizio alla fine immergendosi nelle sue atmosfere, l’universo unico e fantastico de “Il Trono di Spade”, rimarrà ancora a lungo, comunque vada a finire. “Ciò che è morto non muoia mai”.
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Sergio Gamberale
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