L’ONDA LUNGA DEL CRIMINE – Recensione “American Crime”

La serie antologica di John Ridley ci porta al centro di un dramma in atto, tra le cause e le conseguenze psicologiche e sociali di un crimine. Scrittura e interpretazioni di valore assoluto.

Quando uscì la prima stagione, quattro anni fa sulla ABC, il titolo fece pensare ad un’ennesima serie su casi di cronaca veri o immaginari e a detective alla ricerca della verità, sospettati in fuga, giudici e avvocati in battaglia, eccetera. Ci si rese conto dopo pochi episodi che “American Crime” era un’altra cosa. Il progetto sembrava andare ben al di là della ricerca della verità e della giustizia che sono i motori del genere crime, sia documentaristico che di fiction. Oggi, dopo tre stagioni abbondantemente digerite, possiamo confermare.

american-crime-recap_0
Timothy Hutton e Felicity Huffman in “American Crime 1”

La serie è antologica e presenta ad ogni stagione una storia diversa che prende le mosse da un crimine ma anziché raccontarne le indagini, si concentra sulle circostanze in cui è maturato e sulle conseguenze che quel delitto comporta per tutti coloro che direttamente o indirettamente ne sono rimasti coinvolti. Traumi psicologici certo, ma anche e soprattutto ferite sociali. Nella prima stagione, interpretata da Timothy Hutton e Felicity Huffman, era l’uccisione di uno spacciatore ad innescare un conflitto razziale tra genitori in lotta per la salvezza morale dei figli.

american_crime_s02_still
Timothy Hutton in “American Crime 2”

Stessi interpreti principali nella seconda stagione che invece ci porta nel dietro le quinte di un campo di pallacanestro per raccontare della presunta violenza subita da uno studente ad opera di alcuni giocatori della squadra del suo liceo. La reputazione di un ragazzo contro quella di una scuola. Le contraddizioni di un singolo contro le ipocrisie di una comunità e un’istituzione.

American-Crime-S03E02-d259c2ff09e4f7f43244f00af0125a5a-full
Felicity Huffman in “American Crime 3”

La terza stagione, sempre con la Huffman e Hutton, segue un padre messicano in cerca del figlio scomparso fino in Carolina del Nord, dove scopre una dura realtà di sfruttamento ai danni dei lavoratori immigrati. Ma è solo la punta dell’iceberg in una realtà in cui diverse storie parallele ci mostrano quanto drammaticamente poco valga la vita in quello spaccato di società. Anche qui, come nelle precedenti storie, l’attenzione dell’ideatore John Ridley è tutta sulle pieghe umane e sociali della vicenda. I fatti inducono i protagonisti a reazioni che a loro volta determinano fatti cui altri personaggi reagiscono. In una catena di eventi che diventa l’onda lunga di un crimine. Non è solo il fatto di sangue in se ad essere violento. Qui non si parla semplicemente di violenza che genera violenza. Si parla piuttosto delle ferite profonde da cui questa nasce e che si lascia, ancor più laceranti, dietro di sé.

american-crime
Felicity Huffman in “American Crime 3”

Non è poco, ma non sarebbe abbastanza, trattandosi di uno show. Il fatto più notevole è che “American Crime” raggiunge questo livello di critica sociale attraverso una scrittura di un realismo stupefacente. La scansione serrata delle scene, le naturali, comprensibili svolte dei personaggi, il ritmo turbinoso degli eventi ci pongono al centro di un dramma collettivo in atto. La suspance qui non è frutto di artifici o effetti. È tutta nello spietato scorrere di eventi concatenati sulla pelle e i nervi dei protagonisti. Una serie perciò da vivere appassionatamente, osservare lucidamente, digerire moralmente. Una serie che induce a riflessioni amare e profonde, a interrogativi scomodi, a farsi un’opinione sul mondo in cui viviamo e perciò politica nel senso più alto del termine.

Puoi vedere “American Crime” in streaming su Now TV cliccando QUI.

Sergio Gamberale

Vai alla barra degli strumenti