IL LANGUIDO E AMARO ADDIO ALLA BERLINO CHE FU – Recensione “Babylon Berlin”

Il kolossal noir di Tom Tykwer ci immerge nell’atmosfera densa di torbida vitalità della Berlino di fine anni ’20. Per un giallo raffinato, elegante e spettacolare.

Chi l’ha vista su Sky due anni fa, ce l’ha ancora negli occhi e nella testa. Chi no, può ora approfittare dell’uscita in chiaro su Rai4 (ogni sabato in seconda serata) e in streaming gratuito su RaiPlay, per godersela. “Babylon Berlin”, due stagioni da otto puntate ognuna per 40 milioni di dollari, è un’avventura noir nel mondo libertario, creativo, esagerato, violento, corrotto, drogato, godereccio, estremo della Berlino a cavallo tra gli anni ’20 e i ’30. Storicamente siamo nel pieno del declino della Repubblica di Weimar, nel mezzo di una città falcidiata dalla carneficina della Prima Guerra Mondiale ma sprizzante vita da tutti i pori.

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La protagonista è lei, Berlino, molto più di Gereon Rath (Volker Bruch), il poliziotto di Colonia insieme al quale vi entriamo. Reduce di guerra con attacchi epilettici da sindrome post-traumatica, tira avanti grazie alle fiale di chissà quale droga che si procura sottobanco. La sua indagine parte da un caso di ricatto ai danni di un politico, ma è solo una delle trame che la serie racconta, sulla traccia dei romanzi di Volker Kutscher. Mentre infatti il nostro detective si inoltra nel territorio sordido e ambiguo della Berlino by night nel tentativo di stroncare i pornografi che minacciano un uomo politico, intorno è un crescendo di situazioni esplosive. Nelle case regna la miseria, nei bassofondi il crimine, nella lotta per la sopravvivenza i più scaltri. Nel frattempo un gruppo di trozkisti russi prende possesso di un treno diretto a Berlino mentre nelle strade la crisi economica fa innalzare vessilli rossi e slogan rivoluzionari.

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Sono rivoli o fiumi, si vedrà, che si tuffano in quel gran mare agitato in cui Gereon annegherebbe, se non ci fossero il collega scafato Bruno (Peter Kurth) e soprattutto Charlotte (Liv Lisa Fries), impiegata occasionale alla omicidi e spirito notturno. Una creatura così dolce da riuscire a tuffarsi nel vizio uscendone pura. Relitti galleggianti, comunque, cui aggrapparsi per lasciarsi trascinare dalla corrente di “Babylon Berlin” senza andare giù. Perché il ritmo degli avvenimenti è incalzante e il dramma parvasivo. Spettacolare la messa in scena, con una ricostruzione puntigliosa ma non esibita di strade, palazzi, interni di una città che all’epoca rivaleggiava con Parigi in quanto a charme. La fotografia è elegantemente torbida. Lo sguardo della macchina da presa è di stampo espressionista.

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“Babylon Berlin” è di quelle serie che si prestano a molteplici esperienze. La puoi seguire come un giallo narrato al ritmo di uno scatenato charleston; o la puoi guardare con gli occhi dello storico pensando a come quell’universo sarebbe stato spazzato via dal Nazismo prima, dalla guerra poi; o puoi sfoderare gli occhi nostalgici del cinephile innamorato di Marlene Dietrich e dei classici del noir riconoscerne l’ombra qua e là. Oppure, più semplicemente, puoi lasciarti andare e gustarti il languido e amaro canto del cigno di un mondo, una vita, una città che non esistono più, se non nel cuore.

Puoi vedere “Babylon Berlin” in streaming gratuito su RaiPlay cliccando QUI.

Sergio Gamberale

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