SE LA VITA È UNA MATRIOSKA – Recensione “RUSSIAN DOLL”

Come in un videogioco, una cinica e disincantata programmatrice si trova prigioniera in un circolo vizioso. Per uscirne, dovrà affrontare alcuni nodi della sua vita. Solitudine, amicizia, amore.

Cosa accadrebbe se per un misterioso scherzo del destino ti trovassi a rivivere in continuazione lo stesso, qualsiasi momento della tua vita? È quanto accade a Nadia, la protagonista di “Russian Doll” interpretata da un’ottima Natasha Lyonne, su Netflix. Nel giorno del suo trentaseiesimo compleanno, questa programmatrice di videogame rossa e riccia è chiusa in un bagno a guardarsi allo specchio. Qualcuno bussa e lei deve uscire. Là fuori c’è un party, quello che la sua amica ha organizzato per festeggiarla. Ma lei esercita tutto il suo nichilismo prendendo la porta per andare ad incontrare un amante. Giusto il tempo di uscire, attraversare una strada e viene investita a morte. Un attimo dopo è di nuovo davanti allo stesso specchio di prima, con qualcuno che bussa alla porta. Strafatta com’è di alcol e droga, pensa di essere vittima di un’allucinazione. Invece no. Esce di nuovo, muore e ritorna al punto di prima. Per più e più volte, nonostante cambi percorso, compagnia, o dialoghi. Come se fosse uno dei personaggi dei videogiochi che programma. È una loop infernale, una trappola.

Natasha Lyonne in “Russian Doll”

Muori che ti rimuori, però, Nadia riesce ad allungare il suo percorso di vita. Forte della memoria dell’esperienza precedente, riesce ad evitare la sua morte per più tempo. Può così ritrovare il suo gatto smarrito, incontrare un barbone, portarsi a letto un amante, correggere un errore in un suo programma. La svolta però arriva proprio mentre sta precipitando verso l’ennesima morte a bordo di un ascensore impazzito. Tra i passeggeri in preda al panico ce n’è uno calmo e rassegnato come lei. È un uomo che sta affrontando il suo stesso strano destino. Si chiama Alan (Charlie Barnett) e tra pochi secondi si ritroverà anche lui per l’ennesima volta davanti ad uno specchio, per rivivere il momento drammatico in cui, mentre anello alla mano sta per chiedere alla sua ragazza di sposarlo…

Charlie Barnett in “Russian Doll”

Nadia e Alan, uniti nella lotta, capiscono che per uscire dal circolo vizioso, non devono semplicemente cambiare percorso di vita. Devono piuttosto andare in profondità e aprire le loro vite come fossero delle scatole cinesi. Da qui il titolo. “Russian Doll” è infatti il nome inglese delle matrioske, le bambole russe che si aprono come scatole e ne contengono altre, identiche ma più piccole. La serie diventa così una specie di rompicapo in cui si racconta il tentativo di uscire da un dramma. Il meccanismo narrativo, non nuovo, non è qui uno stratagemma per rendere un giallo più appassionante, come in “Happy Death Day” (Auguri per la tua morte); o per fare della morale come in “Groundhog Day” (Ricomincio da capo). La chiave di “Russian Doll” porta verso l’introspezione, l’approfondimento dei personaggi e delle loro relazioni. In un caleidoscopico intreccio di situazioni che si ripetono uguali ma diverse.

Logico che in questo quadro gran parte dell’esito della serie sia nelle mani degli attori, chiamati a interpretare scene simili in una serie di varianti che esprimano una progressiva trasformazione dei personaggi. Ottima la prova di Natasha Lyonne (“American Pie”,“Orange is the New Black”), che è anche autrice della serie insieme a Amy Poehler e Haslye Headland. Sarà che nel personaggio c’è qualche richiamo alla sua biografia di ex ragazza terribile, ma il tratteggio di Nadia è convincente. Prima è caustica e impudente poi, smarrita, diventa più delicata. Il tipaccio giusto per guidarci senza preconcetti in un percorso al buio che parla di identità, solitudine, amicizia e amore senza alcun luogo comune e senza sentimentalismi.

Per vedere la serie su Netflix, clicca QUI.

Sergio Gamberale

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