NO SPOILER.
La prima di Julia Roberts da protagonista in una serie Tv è tutta un’attesa. Da quando apri la homepage di Amazon Prime Video e clicchi sul suo bel faccino da Oscar (e milioni di dollari di cachet), a quando fissi con espressione ebete a bocca aperta i titoli di coda del decimo ed ultimo episodio. Un’attesa tradita, però. E il fatto che alla fine ti possa rispecchiare nello sguardo vuoto e perplesso della protagonista nella posa qui sotto, non attenua la delusione. Perché “Homecoming” (QUI il trailer) è un thriller esplosivo come un petardo bagnato, un dramma costruito su un crescendo che sfocia nell’evanescenza di un nulla.

La nostra “Pretty Woman” veste i panni di un’ex counselor impiegata in un programma per il recupero dei reduci di guerra vittime di traumi psicologici. Come il suo capo Colin (Bobby Cannavale) le ha spiegato, si tratta di registrare giorno dopo giorno il progressivo distacco del paziente dal ricordo dei fatti traumatici che lo hanno segnato. Che cosa esattamente riesca a liberare i pazienti dalle conseguenze psicologiche del loro vissuto e a che prezzo è parte dell’enigma. Ad indurci al sospetto che si tratti di qualcosa di assai sporco è la circostanza che, mentre un solerte funzionario del Dipartimento della Difesa (Shea Whigham alias Thomas Carrasco) svolge un’inchiesta sugli esiti di uno specifico trattamento (quello dell’ex soldato Cruz interpretato da Stephan James), lei sembra non ricordarne assolutamente nulla, mentre Colin fa di tutto per impedire che la verità venga a galla. Una verità ben nascosta dietro alla promessa di rinascita spacciata dai responsabili del programma “Homecoming”. Dunque è chiaro che dev’esserci sotto qualcosa di forte. E insomma più vai avanti e più ti aspetti una rivelazione scioccante.

A fomentare le aspettative di un grosso botto finale, oltre all’atmosfera carica di inquietudine in cui si svolgono gli avvenimenti, è la narrazione costruita su una doppia linea: il presente in formato 1:1, in cui la Roberts conduce una normale e tranquilla vita da cameriera mentre l’indagine del detective disvela tracce di un mistero in cui è coinvolta; e il passato in 16:9, dove seguiamo cronologicamente gli eventi che hanno portato la counselor ad essere artefice di un misfatto che molto lentamente viene alla luce. I creatori Eli Horowitz e Micah Bloomberg insomma hanno puntato sulla suspance. Al resto ha pensato il regista Sam Esmail, che ha raffreddato la temperatura con un elegante gioco formale. Normale in queste condizioni nutrire alte speranze di un colpo di scena da brividi.

E invece niente. Il lungo e vibrante fischione che sembrava preludio di un’esplosione coi fiocchi, non ci porta che a un peto. Neanche una fragorosa scorreggia, ma una pernacchietta sfiatata più vicina alla loffa. Il mistero che si svela è infatti di una banalità quasi sconcertante e alla fine ti ritrovi per l’appunto lì, incredulo, a chiederti se per caso non ti abbiano voluto prendere in giro, propinandoti dieci puntate di questa storia per arrivare a scoperchiare una realtà che non metterebbe i brividi neanche alla più grave delle vittime di sindrome ansiosa. Un chiaro esempio di “tanto rumore per nulla” insomma, per una serie che, in mancanza di una storia forte, affoga nel suo stesso formalismo. Ah, Julia Roberts è brava.
Su Amazon, solo in lingua inglese fino al 2019, QUI.
Sergio Gamberale
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