Hai presente cosa dev’essere, in una malinconica domenica pomeriggio, riaprire dopo tanto tempo il portagioie inguattato nel comò e riportare alla luce l’anello di famiglia che ti lasciò la nonna? Ammirarlo nella sua antica bellezza, soppesarne il valore, indossarlo e gustartelo per un po’ al dito, insieme al sapore pieno dei ricordi di quell’epoca andata che riesce a evocare? Ecco, guardare “La Fantastica signora Maisel” (su Amazon) è un’esperienza così. (La similitudine funzionerebbe anche con il soldatino di piombo nel baule in cantina, se non parlassimo di materiale prezioso e in chiave principalmente femminile).

La gemma più splendente, in questo anello, si chiama Rachel Brosnahan. Negli eleganti panni della protagonista Midge Maisel, prende delicatamente per mano questa deliziosa mogliettina tradita e abbandonata nella tradizionalista New York ebraica di fine anni ’50 e la fa luccicare come un diamante puro. È letteralmente una gioia vederla irradiare luce ed energia mentre reagisce al crollo dei suoi valori con raffinata grinta, affrontando con stile i pregiudizi e affermando felicemente la sua personalità. Una tenera battaglia di parole, la sua, ingaggiata tra le mura di una casa accogliente ma stretta e nei palcoscenici dei locali off off, di fronte a un pubblico distratto e a volte ostile. Sì perché la signora Maisel, al contrario del marito (Michael Zegen) un talento ce l’ha: sa far ridere raccontando la sua storia e denunciando implicitamente le ipocrisie della sua società. Sa cioè far “passare” attraverso una risata, il racconto di quel fatto sociale di portata storica di cui è involontaria protagonista e che si chiama “emancipazione femminile“. Niente male davvero per un personaggio che si regge sulla sua “leggerezza”.

Ma attrice e personaggio principale non risalterebbero di cotanto splendore, se “La fantastica signora Maisel” non fosse una mirabile composizione. L’ambiente sociale, innanzitutto, è tratteggiato con tocco soave e poetico attraverso una ghirlanda di dialoghi ricchi di acume e umanità. Nel ricamo, spiccano l’amabile e musone papà Abe (Tony Shahloub) e la cinica manager androgina Susie (Alex Borstein). Ma si fatica a trovare un elemento debole, una pietra meno preziosa, in questa serie. Non c’è un personaggio secondario che non risulti a tutto tondo, non c’è una scena in cui senti che il tempo stia scorrendo invano. Il merito è ovviamente tutto di Amy Sherman-Palladino, creatrice, produttrice e regista, insieme al marito Daniel e a Scott Ellis, della commedia fresca vincitrice di cinque Emmy awards. C’è da inchinarsi di fronte al suo lavoro, per la ricchezza delle idee comiche e drammatiche, per la ventata di freschezza che emana da un progetto che non confonde i caratteri e gli archetipi con i cliché. Per cui anche se fai una commedia sulla New York di quell’epoca, puoi anche fregartene di Audrey Hepburn e “Colazione da Tiffany”. Finalmente.

E poi, vogliamo spenderle due parole sulla semplice bellezza visiva di scenografie, costumi, trucco e parrucco? Ogni ambiente e ogni vestito profumano del sogno che furono gli anni ’50. Addirittura ogni acconciatura o rossetto ci raccontano quel mondo, quell’epoca spensieratamente e inconsapevolmente rivoluzionaria. Insomma è una serie che ti convince e ti conquista ad ogni inquadratura, “La fantastica signora Maisel”. Bello e divertente vederla e rivederla. Dolce e rassicurante sapere che là, nel portagioie inguattato nel comò, c’è un gioiello di questo valore sempre pronto per essere restituito alla luce, in una qualsiasi malinconica domenica pomeriggio.
Sergio Gamberale
