Praticamente è un test di resistenza: per quanto tempo riesci a sopportare la raffica di secchiate di vomito e merda che “Paradise Police” ti propina? Più è alta la tua soglia di tolleranza a battutacce scurrili ma non divertenti, più il tuo stomaco riesce a reggere situazioni pretestuosamente indecenti, e più a lungo riesci a sorbettarti questo squallido cartoon su Netflix. Se vai oltre la quinta puntata, complimenti! Io non ce l’ho fatta. Non per moralismo o culto del buon gusto ad ogni costo, ma per amore e rispetto dello spettacolo. In questo caso, della forma più sublime e delicata di show, quello comico. Voglio dire: puoi essere maleducato, volgare, politicamente scorretto o dissacrante quanto vuoi, ma se il tuo scopo è strapparmi dalla pancia una risata, beh, devi farmela sgorgare automatica. Altrimenti, come ogni barzellettiere di avanspettacolo sa, sono pomodori che volano. E qui c’è da svuotare un orto intero.

Evidentemente i creatori (Waco O’Guin e Roger Black) hanno pensato che spingere al massimo sul pedale della maleducazione, lungo il sentiero tracciato dai vari “Simpsons” e “Griffin”, avrebbe portato a maggior divertimento. Ma hanno sbandato alla prima curva, buttando “Paradise Police” nel fango della tristezza. Del resto, quello è il terreno in cui finisce la comicità quando sbaglia mira, misura, arma. Qualunque sia l’obiettivo. Tanto per dire, se vuoi essere graffiante e spietato in un sarcasmo contro la religiosità e mi proponi un Gesù Cristo che sodomizza una promessa sposa in una Chiesa, per lanciare la battuta di lei che dice qualcosa come “non è peccato, prima del matrimonio, se lo fai in una Chiesa e di dietro”, graffi solo il buon gusto. Ecco, “Paradise Police” è tutto così.

E non parlatemi, vi prego, di irriverente affresco sociale o caricatura grottesca di una certa umanità. Qui non c’è niente di minimamente sociologico. Il figlio del poliziotto che corona il suo sogno di arruolarsi è appena una traccia di partenza. Un trampolino come un altro per farti tuffare nell’immondizia verbale e gestuale di personaggi e trame che sono unicamente pretesto per una chiassosa ricerca di un effetto comico che non arriva. Così quella che vedi, alla fine, è solo una giostra di maschere subumane che gira a forza di scuregge e pompini in un luna park di oscenità. E quel che è peggio, se ne compiace.
Sergio Gamberale
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