Dominating beauty in handcuffs

SCANDALI E CENSURE, LA FALSA GIUSTIZIA DELLO SHOWBIZ

Scandali mediatici, verdetti extragiudiziali, processi sommari celebrati sui media senza alcun diritto alla difesa, condanne senza attenuanti e pene al di fuori di ogni codice penale. È lo showbiz, bellezza. Funziona così, nel 2018. Prendere o lasciare? Io lascio. Ed ecco perché.

Che nel mondo dello show business sia ormai in atto una crociata contro presunti responsabili di abusi sessuali, è evidente. Per carità, niente da dire sulla giustissima condanna di atti criminali gravi e vergognosi e un sincero apprezzamento per chi ha scoperchiato alcune realtà di sfruttamento e abuso. Non è questo il punto. È sacrosanto che molestatori e violentatori vengano processati e condannati. Ma equamente e nei tribunali, non scandalisticamente sulla stampa o in TV. Da veri giudici con una toga e seduti su uno scranno, non da censori coi sigari cubani in bocca e i piedi sulle scrivanie dei piani alti. Con pene prescritte dal codice penale, non suggerite dagli umori del pubblico. Invece ciò che accade è esattamente il contrario. E qualche considerazione si rende necessaria, a mio avviso, riflettendo sul discutibile pulpito da cui questa sorta di caccia alle streghe viene lanciata e soprattutto sui modi impiegati per colpire gli accusati. Ipocrita il primo, al di là di ogni giustizia i secondi.

Dall’esplosione del caso Weinstein, con le molte denunce pubbliche (spesso solo mediatiche) da parte di attrici che hanno accusato l’ex boss della Miramax di molestie o violenza sessuale, è un continuo di censure, indagini private, allontanamento dai set e dagli schermi di artisti sotto accusa per fatti di questo genere. Un articolo di giornale o qualche intervista televisiva e scatta la ghigliottina, inappellabile e spietata. Il due volte premio Oscar Kevin Spacey lo sa bene. Circa un anno fa Anthony Rapp, in un’intervista, racconta che all’età di 14 anni fu molestato dall’attore e subito Netflix chiude “House of Cards”, di cui Spacey era protagonista, mentre Ridley Scott viene costretto a rigirare parte del suo film “Tutti i soldi del mondo” sostituendo l’originale protagonista Spacey con un altro attore. Da allora le censure di questo genere sono diventate le regola.

Gli ultimi casi in ordine di tempo riguardano Asia Argento, già accusatrice di Weinstein, ora esclusa da X Factor e addirittura cancellata da una serie CNN perché accusata di aver fatto sesso con un minorenne; Morgan Freeman, indagato ed “assolto” da un detective privato su incarico della Fox dopo che diverse donne lo avevano accusato di molestie; Woody Allen, il cui ultimo film “A Rainy Day in New York” è stato bloccato da Amazon senza alcuna motivazione ufficiale ma in seguito alle polemiche sulla collaborazione della casa di produzione con un regista accusato (e prosciolto) nel 2014, per una presunta violenza sessuale ai danni della figlia adottiva dell’ex moglie Mia Farrow. 

Non è andata meglio a Fausto Brizzi. Il regista autore di molte commedie che hanno sbancato il botteghino, dopo un servizio delle Iene in cui molte attrici hanno raccontato di aver subito molestie durante provini non convenzionali, si è visto annullare un contratto dalla Warner. È vero che il regista è stato recentemente prosciolto in tribunale perché “il fatto non sussiste” e che ha firmato un nuovo contratto con la Casanova di Luca Barbareschi, ma è ancora tutto da vedere se il suo nuovo film intitolato “Modalità aereo” non sarà boicottato da distribuzione e TV, come quello di Allen.

L’industria dello spettacolo non ha tempo per aspettare dibattimenti e se ne frega di tribunali, giudici e avvocati. Lei la giustizia se la fa da sé. Ed è una giustizia profondamente ingiusta: totale cancellazione dell’artista. Viene da ridere, di fronte al moralismo giustizialista delle Major, a pensare ai lauti incassi che le stesse si dividono propinando ogni giorno, a quello stesso pubblico, ogni sorta di spettacolarizzazione dell’immoralità. Vivono vendendo show di sesso e violenza, poi crocifiggono chi si macchia di violenza nel sesso. Ipocriti. Ma non solo.

La cosa più grave e inaccettabile è che a fronte di accuse rivolte agli atti di un uomo o una donna, si colpisca l’opera dell’artista, condannandolo a una sorta di damnatio memoriae estranea a qualsiasi concetto di pena. Un principio barbaro e assurdo. Come lo sarebbe far sparire da musei e libri i quadri del pedofilo Gauguin o dell’assassino Caravaggio. Pazzesco dover ribadire, nel 2018, che l’uomo è una cosa, l’artista un altro; e che gli atti illeciti, per quanto gravi e odiosi, si giudicano in tribunale, mentre le opere devono essere valutate dal pubblico. O forse è proprio il pubblico, attraverso le Major, ad aver emesso i verdetti di cui sopra? 

Certo, gran parte di questa smania moralizzatrice dello showbiz viene dal basso e i produttori agiscono facendo il loro mestiere: interpretare le tendenze del pubblico. Ma è questa la giustizia che il pubblico di oggi chiede? Se così fosse, se fossimo noi oggi una comunità di spettatori disposti ad oscurare opere ed artisti in nome di una falsa giustizia, dovremmo vergognarci. Chinare il capo davanti a quei nostri colleghi di qualche anno fa, che si batterono contro i censori dell’epoca che volevano eliminare dalla pubblica visione opere come “Ultimo Tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci o “Salò” di Pasolini, per affermare un principio universale: la libertà di espressione. Ma non è così. Non è soltanto così.

Il pubblico non è una cosa sola e dunque non ha una sola voce. Non siamo un’unica massa indistinta. Ognuno di noi è un pubblico, simile ad alcuni e diverso da altri. Ci sono quelli che liberano la pancia davanti a un servizio scandalistico e quelli che accendono il cervello leggendo una recensione. Quelli che ruttano sentenze e quelli che si interrogano sulla libertà e la giustizia. Quelli che invocano le forche per i presunti mostri e quelli che attendono i processi e le pene. Sono in maggioranza i primi? Fanno più rumore? Pazienza, io sto coi secondi. E nel mio piccolo una voce ce l’ho.

Sergio Gamberale

2 thoughts on “SCANDALI E CENSURE, LA FALSA GIUSTIZIA DELLO SHOWBIZ

  1. Grazie Sergio. Condivido in pieno La fotografia che hai fatto del mondo di celluloide e/o digitale che purtroppo, a mio avviso, ricalca il sentire odioso e giustizialista di questi “haters” seriali di cui siamo circondati.
    Come dici tu saremo pure una minoranza, ma se cominciamo a farci sentire, a contarci, non siamo poi così pochi. Per fortuna.

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