“Posso dire una cosa un po’ volgare e molto scorretta?”, chiese Massimo con aria supplichevole, a mani giunte e capo chino. Gloria, sia pur in uno sguardo di sfida, fece cenno di sì. “Du’ cojoni le inchieste di Report!!”. Pausa di stupore e appagamento, sul divano posto ai piedi del letto, di fronte alla Tv.
“Inutile controbattere – pensò Gloria, nel frattempo persa dentro gli strani meccanismi psichici che la visione de L’Alienista aveva innescato in lei. Con pensieri profondi e sensazioni sconosciute.
“Non c’è modo di capirci un cazzo, sembra che per seguirli debba essere laureato a Harvard!”, tentò di spiegare Massimo, attendendosi una pronta replica di Gloria. Silenzio, invece.
Scattò qualcosa, dentro di lei. Massimo non aveva ancora completato la seconda frase, che Gloria era già in piedi, a guadagnare presto la camera del bambino, nella furia di ricordare quando mai, nei sette anni di vita insieme, lui le avesse provocato un tale sconforto, una tale amarezza. “Mai”, concluse amaramente. E rimboccò la coperta a Luca, che dormiva pesante nella sua culla. “Dormi piccolo mio, – gli sussurrò in un orecchio – tu non vivrai mai quegli orrori di quella serie TV. Nessuno ti farà mai del male, amore mio”. Il suo viso si riempì di un sorriso malinconicamente sereno. E con quel sorriso baciò la guancia calda e morbida di Luca
.
In mancanza di qualcuno che alimentasse il suo ardore, lo sproloquio di Massimo era già finito. Gloria interruppe il silenzio rientrando in sala, diretta decisa verso il telecomando. “Facciamo che ti dico ok hai ragione ma scelgo la serie di stasera?”, ammiccò maliziosamente. “Tutto, ma non La Casa di Carta, per carità!” Implorò cavallerescamente Massimo, inginocchiandosi.
“Scherzi? C’è L’Alienista!”, rispose Gloria, accendendosi come una vampa. “È piena di mistero, sensualità, stile…”.
Massimo concordava: “Sì, una New York di fine ottocento torbida e oscura, la barricata eretta tra i pochi ricchi e potenti da una parte e i tanti derelitti dall’altra, il mondo degli immigrati italiani raccontato senza retorica, attori fenomenali, fotografia letteralmente da brividi e una regia che…”. Gloria, che nel frattempo si era spogliata e impigiamata, si infervorò: “L’eleganza con cui ci viene raccontata questa storia sordida mi lascia sbalordita. Mi affascina al punto che non ho alcuna voglia di leggere il romanzo di Caleb Carr”.Erano d’accordo! Non succedeva dai tempi di Dexter.“Che te ne pare di Dakota Fanning?” Chiese maliziosamente Gloria. Massimo non stette lì a pensarci troppo: “Deliziosa, tenera, dolcissima” disse, assumendo un’aria quasi sognante. “È una bella donna – fece lei, con sguardo vagamente ammiccante.“Vuoi dire se me la farei?” interpretò correttamente Massimo. “Beh, no. Comunque gli attori sono tutti molto bravi”, tagliò corto.
“Però, – osò aggiungere Massimo – quel Daniel Brühl ha qualcosa che non mi convince”.
“No eh?! – lo provocò Gloria – pensa che invece a me convince molto!”.
“In che senso scusa?” chiese Massimo – bravo è bravo, però ha un’aria troppo perfettina. Poi, che ti devo dire, sarà che fa lo strizzacervelli ante litteram, ma a me sembra Meluzzi da giovane” e scoppiò a ridere.
Gloria infilò una gamba sotto la coperta. Sentì la fresca morbidezza del cotone accarezzare la sua pelle.
“Sarà, ma io me lo farei” sentenziò serenamente, lasciando che il materasso avvolgesse il suo corpo.
“No dai, non puoi essere seria” protestò debolmente Massimo.
Gloria gli rivolse uno sguardo divertito e ammiccante. “Non sai che gli farei… non ne hai un’idea…” e si rigirò più volte nel letto, non sapendo dove mettere le mani.
Lui si sdraiò accanto a lei. Fissò il suo sguardo. La riconobbe: era lei la ragazza vivace e dispettosa di cui si era innamorato dieci anni prima. Appena più matura ma ancora consapevole del suo fascino. L’abbracciò con mani calde.
“Sì – le soffiò con voce artefatta nelle orecchie – sono il giovane Meluzzi e voglio proprio psicanalizzarti”. Ridacchiò portando la mano dal fianco al seno di lei.
Gloria assecondava, sorridente e abbandonata. Il mondo svanì lentamente dai suoi occhi. Quando Massimo spinse le sue decise carezze fin dove doveva, non era più Massimo. Era Daniel, per lei, quel ficaccione dagli occhi buoni e lo sguardo sofferto.
La notte andò come andò.
La mattina dopo, sorseggiando il caffè, seduti accanto all’angolo cucina, Massimo e Gloria si fissarono in silenzio.
“È bello, dopo tanto tempo, vederti ancora felice, insieme a me” le disse con l’anima candida, in una bolla d’emozione.
“La felicità, caro mio, non è per menti semplici” pensò lei, con divertito distacco.Sergio Gamberale

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.