UNA CASA DI CARTA STRACCIA

Il povero critico fu preso dallo sgomento. Mai nella sua ventennale trafila da spacciatore di giudizi aveva registrato una distanza così abissale tra il parere personale e il sentire comune. “La Casa di Carta mi sembra una stronzata senza pari – pensava tra sé e sé camminando incredulo davanti al computer – eppure ovunque mi giri vedo gente che ne è entusiasta!”

Ai suoi occhi, “La Casa di Carta” stringi stringi non era altro che una banalissima telenovela travestita da action movie, con la storia surreale di una rapina del secolo a coprire la solita solfa sentimentalistica delle telenovelas. Carta straccia. Buona forse solo per pulirai il culo.

Era pazzesco, secondo lui, che tanti spettatori e tanta stampa mostrassero apprezzamento per quella marmellata di cliché con amanti traditori a loro volta traditi, ragazze ribelli ma in fondo buone, poliziotte piene di grinta ma sole e dunque vulnerabili alle avances di figli di puttana senza scrupoli, eccetera eccetera. Quanto alla trama principale poi, come si faceva a darle un minimo di credibilità? Il plot scritto da Àlex Pina, presenta un misterioso “Professore”, con fisico e carisma da supplente di filosofia (Álvaro Morte), che riunisce una banda per assaltare la zecca di Madrid, prendere degli ostaggi e uscirne con due miliardi e quattrocento milioni di euro belli freschi appena stampati. Lui, la mente, ha organizzato e previsto tutto fin nei minimi particolari. È un genio, cazzo! Però – guarda un po’ che succede! – la poliziotta qualunque con volto qualunque e naso in Portogallo (Itziar Ituño), cui la polizia spagnola ha incomprensibilmente affidato la trattativa per liberare gli ostaggi, a forza di mosse e contromosse in stile scacchistico, finisce per attirarlo in una liaison dangereuse. Del resto, cosa vuoi che siano quella montagna di soldi di fronte a un batticuore?!

“Assurdo! Com’è possibile che questa roba non dico desti interesse, ma addirittura piaccia?! Possibile che questa paraculata di bassa lega, messa lì per rivendere in forma di serie quello che è già stato digerito sotto altra forma, faccia venire l’orticaria solo a me?!”

Il povero critico si sentì strano. Il sospetto di essere lui in fallo, di non riuscire, per suoi limiti, a intercettare e comprendere il gusto comune, lo gettò nello sconforto. Tentò di rimediare in qualche modo. Fece impacchi di umiltà. Mise in dubbio ogni certezza. Passò ore a discutere con i clienti di bar e mercati. Lesse intere collezioni di Harmony e gialli Mondadori. Ascoltò tutto il pop degli ultimi dieci anni. Insomma si rifece occhi orecchie e cuore.

Poi rivide “La Casa di Carta” e… niente, per lui era ancora una cagata pazzesca.

Sergio Gamberale

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