IL DOPPIO BRIVIDO DI “STRANGER THINGS”

Se sei un ragazzino (o ragazzina) e te ne vai con gli amici alla scoperta del mondo in sella a una bici per poi chiuderti in camera a notare strani cambiamenti nel corpo e nei pensieri, è inutile che legga queste righe. Tu “Stranger Things” lo vivi tutti i giorni e quella sensazione unica, quell’attrazione mista a repulsione che accompagna la paura di fronte all’enigma dell’inconoscibile, quel vortice misterioso che coinvolge contemporaneamente universo e viscere, quel doppio brivido che la serie evoca e suscita, ce l’hai già sulla pelle.

Stranger Things (Netflix) Season 1, 2016
Shown from left: Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo

Se invece ragazzino/a lo sei stato/a qualche anno fa e lo stupore di quei giorni l’hai archiviato alla voce “pubertà”, ti consiglio di recuperare quel cuore di allora, prima di cliccare sull’icona di “Stranger Things”. O di rileggerla, se l’hai vista, con lo sguardo smarrito di un dodicenne di fronte ai segni della sua crescita. Perché dietro la fantascienza e l’horror, oltre la selva di riferimenti e citazioni anni ’80, questa straordinaria serie di Netflix ti riporta a quella tempesta unica e irripetibile.

Non so se Matt e Ross Duffer, i fratelli che hanno creato la serie, ci abbiano messo l’intenzione, ma tutta questa storia infarcita di riferimenti letterari (Lovercraft innanzitutto) e cinematografici (lo Spielberg di “Lo Squalo” e “E.T” soprattutto, ma anche “Alien”); densa di citazioni (“Ghostbusters”, i Devo, i Clash…); questa serie che affascina come un fantasy e spaventa come un horror, può funzionare come grande metafora dell’avventura fisica e intellettuale che segna il passaggio dall’infanzia alla maturità sessuale.

Will, Michael, Dustin e Lucas (cui nella seconda stagione si unisce Maxine), si trovano nel pieno di questa fase. Il Sottosopra ce l’hanno dentro. È a loro che capitano cose strane. Il loro stesso corpo è un laboratorio segreto e nel pieno di una inspiegabile attività. Will (Noah Schnapp), minacciato da una misteriosa entità che si annida dentro di lui, è vittima di inquietanti visioni con un essere che cresce; Undici (Millie Bobby Brown) scopre i segreti enigmi della sua mente, lotta per la sua libertà e perde sangue (dal naso).

Trasformazioni, rivelazioni, tempeste ormonali prima ancora che emotive. I batticuori inaspettati di Mike (Finn Wolfhard) e Undici; i campi magnetici attivi tra Dustin (Gaten Matarazzo), Lucas (Caleb McLaughlin) e Maxine (Sadie Sink); è tutto un Demogorgone, un mostro grande ma nascosto, un pericolo che invade il cielo ma arriva dal basso. Tutto parla, a livello simbolico, di un arcano. Tutto allude a ciò che i ragazzini sentono. Un qualcosa che si rivelerà loro solo nell’ultima, commovente, poetica scena.

Gli adolescenti (fratelli e sorelle) mostrano il cammino. Gli adulti (mamma Winona Ryder e papà David Harbour) sono spettatori partecipi. Danno corpo alle ombre. Ma le ombre, inquietanti e seducenti, sono quelle dei mostri. E i mostri appartengono ai ragazzini. E i ragazzini vogliono comprendere ciò che gli appare incomprensibile. Perché non essere più un bambino senza essere ancora un ragazzo è qualcosa che mette fuori gioco la fantasia e fa deragliare i sensi. Qualcosa che sfugge alla mente e implica il corpo. Un’avventura senza uguali nella vita. Ed è questo l’intreccio nascosto che fa di “Stranger Things” ben più di una bella serie di genere, più di una malinconica cavalcata nei primi anni ’80, più di un romanzo di formazione. Ed anche qualcosa di più delle tre cose messe insieme.

Sergio Gamberale

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