Quanto mi piacerebbe avere un giudizio morale, netto e preciso, sul “caso Weinstein”! Quanto sarebbe liberatorio poterlo estrarre come una colt dalla fondina e spararlo sui social. Bang: “Quello è un mostro”; bang: “quella è una puttana”. E con un soffio spazzare via, insieme al fumo che fuoriesce dalla canna, tutte le incertezze, le ambiguità, le zone grigie che questa storia, nella sua esemplare banalità, ai miei occhi presenta.
Harvey Weinstein
Di cosa parliamo? Di un mostro cattivo che sfruttando la sua posizione di potere attira vittime indifese nella sua tana e ne approfitta? Oppure di una o più puttane senza scrupoli che sfruttano una situazione per trarne vantaggio? Sembra questo il confronto in atto, nella brutale sintesi dei giudizi vomitati in massa sui social. Uno scontro tra opposti estremismi che chiama alla presa di posizione. O di qua o di là, senza possibili mediazioni. Maschilismo giustificazionista contro femminismo aprioristico. Con il corollario nichilistico di chi sostiene entrambe le tesi.
Io sono in imbarazzo di fronte a questo schematismo. Lo sono come umile membro della società sedicente “civile” e come altrettanto umile critico, su queste pagine, della forma di spettacolo che più si avvicina alla rappresentazione della vita nel mondo. Da cittadino mi chiedo, sgomento, se sia possibile non aver presente un principio cardine della civiltà giuridica, quello secondo cui si giudicano gli atti e non le persone. E da critico mi domando, stupito, se sia così facile confondere i concetti di “personaggio” e di “persona” e se lo sguardo sui comportamenti delle persone reali possa essere addirittura più superficiale di quello sui fatti narrati nelle fiction.
Asia Argento
Nessuno si sognerebbe mai di giudicare Walter White un bastardo spacciatore di morte o Hank Moody un depravato ubriacone. Invece per molti, troppi, Harvey Weinstein è un mostro e/o Asia Argento una puttana. Come se le ho sfumature, le contraddizioni, le ambiguità fossero roba da personaggi sullo schermo, non da produttori o attrici in carne ed ossa. Come se nella vita reale non fosse possibile incontrare, che ne so, un criminale dall’animo tenero come Dexter o una fanciulla spaventata e complice come la Celeste di Big Little Lies.
In assenza di una tale forza semplificatrice, sarebbe comodo tacere. Dico comodo e non giusto, perché di fronte all’onda montante di un giustizialismo moralista che impone un’etica non solo al maschio o alla femmina, ma alla social community e quindi alla società, la voce deve uscire per forza. Anche solo per affermare il diritto al dubbio, l’etica della sospensione del giudizio di fronte alle persone, l’appello al fermarsi alla critica dei fatti, una volta chiariti del tutto.
Io non so se questo apparente bisogno di tracciare linee nette tra il bene e il male sia la risposta a un qualche bisogno antropologico di marcare il confine tra un “noi” e un “loro”. Non so se chi taglia giudizi con l’accetta sia alla ricerca inconscia di un qualche mondo ideale. Ma osservo ciò che accade intorno a questo caso e scorgo, nella trama, un solo mostro sicuramente riconoscibile: il giudizio sommario, che si alimenta di facili e repentine indignazioni e si trasforma in gogna mediatica. E una sola puttana: l’opinione pubblica, sedotta da un’informazione tambureggiante e infida, alle cui prepotenti avances non sa far altro che cedere. È una trama che non mi piace per niente.Sergio Gamberale
Giornalista pentito e critico per natura, si è occupato per vent’anni dell’oggetto delle sue passioni e dei suoi studi giovanili: il cinema. Come inviato e critico ha assistito sgomento alla fine della settima arte. Asciugate le lacrime e trovato un secondo lavoro, ha iniziato a seguire le serie tv e la fiamma dentro di lui si è riaccesa.
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