In primo piano c’è il sangue. No, non quello che imbratta a litri i sanpietrini di questa Roma prepotente e figlia di puttana. Ma quello che scorre, avvelenato e criminale, nelle vene dei tre ragazzi al centro della scena. Uno l’opposto dell’altro, ma con un destino intimo comune.
Alessandro Borghi, Eduardo Valdarnini e Giacomo Ferrara
Aureliano (Alessandro Borghi), muscolo impavido e cuore gentile; Spadino (Giacomo Ferrara), cresta nervosa e spirito zigano; Lele (Eduardo Valdarnini), volto elegante e animo traditore.
Loro tre. Tutti in qualche modo orfani e in cerca di un posto nel mondo e nella famiglia. Tutti con un lato oscuro da nascondere. E impelagati in laceranti, violente, profonde questioni di coscienza. Liberarsi dai legami di sangue per affermarsi come individui e spiccare il volo solitario o scacciare i propri fantasmi e rifugiarsi nella tana familiare?
Sono loro le viscere inquiete che animano “Suburra”, la serie ideata da Daniele Cesarano e Barbara Petronio, prequel del film tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, che ne firmano la sceneggiatura.
A dispetto dei tanti richiami alla cronaca di “mafia capitale”, in “Suburra” gli affari sporchi, le speculazioni selvagge, i ricatti e le corruzioni sono solo la cornice di conflitti intimi e struggimenti privati, guerre con i padri e con i fratelli, afflati erotici e pulsioni sessuali inconfessabili. Qui di Roma si racconta la pancia, più della testa e del cuore. E il potere viene inquadrato dal lato debole, quello che attraverso gli affetti ti rende fragile e ricattabile, ti fa fare le mosse sbagliate. Una scelta non convenzionale.
Francesco Acquaroli
Non è privo di significato il fatto che nei panni del burattinaio del losco affare in corso tra oscure sale del Vaticano e luridi corridoi del Campidoglio, sia l’unico che una famiglia non ce l’ha: Samurai (Francesco Acquaroli). Libero da intralci affettivi, può dedicarsi con decisione e senza scrupoli al sottile ricamo corruttivo necessario al suo obiettivo: assicurare alla mafia i terreni di Ostia su cui costruire un porto turistico, con gli annessi sporchi traffici. Operazione non semplice, visti i tempi ristretti imposti dalle dimissioni del sindaco, e resa ancora più ardua dai doppi e tripli giochi di chi può indirizzarlo.
Claudia Gerini
In primis Sara Monaschi (Claudia Gerini), che nella Commissione Pontificia può far vendere al Vaticano i terreni alla società di suo marito; e in secundis il politico post-idealista Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), che presiede l’ufficio capitolino in cui si approvano i piani urbanistici. Uno che per amore di moglie e figli è pronto a mettere da parte gli inutili moralismi.
Filippo Nigro
Ma ciò che avrà un peso decisivo nel colorare questa storia di rosso è che quel medesimo sporco affare diventerà occasione di incontro fra i tre ragazzi protagonisti e sfondo di uno scontro a tutto campo tra vecchie volpi e giovani esuberanti, tra violenti slanci ribelli e fatali richiami al dna. In un conflitto tragicamente antropologico (natura contro cultura) che farà esplodere raffiche di colpi, implodere sentimenti, coltivare e uccidere speranze.
Alessandro Borghi, Eduardo Valdarnini e Giacomo Ferrara
Trattandosi di una serie italiana, è già in corso sul web il consueto confronto tra i critici snob della fiction italiana “poveraccia” e i patrioti de noantri che esultano di fronte alla bandierina italiana piantata sulla schermata di Netflix. Pregiudiziali entrambi.
A conti fatti, bisogna dire “bravi” ai creatori di “Suburra”, perché hanno speso energie intelletuali e fatica a costruire una trama fitta e ricca di intrecci, tenendo ben tesa fino alla fine la corda della suspance.
Alessandro Borghi
Certo, una dose maggiore di sfumature nel tratteggio dei personaggi non avrebbe nociuto e ci avrebbe portato più dentro la storia. Qualche scena d’azione poteva essere più curata. Di sicuro non tutte le interpretazioni sono perfette. La Gerini ad esempio non è sempre credibile. Ma Alessandro Borghi, in compenso, se la cava alla grande nei panni del personaggio più dirompente della storia. E nel complesso la serie risulta godibile e avvincente. A patto di non guardarla aspettandosi per forza un capolavoro.
Giornalista pentito e critico per natura, si è occupato per vent’anni dell’oggetto delle sue passioni e dei suoi studi giovanili: il cinema. Come inviato e critico ha assistito sgomento alla fine della settima arte. Asciugate le lacrime e trovato un secondo lavoro, ha iniziato a seguire le serie tv e la fiamma dentro di lui si è riaccesa.
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