“NARCOS 3”: SORPASSO A “GOMORRA”

Lo confesso: “Gomorra” mi era piaciuta, all’inizio. L’idea di mettere delle maschere tragiche addosso a dei criminali e di buttarli uno contro l’altro trasformando la periferia napoletana in uno scenario western, mi sembrava divertente. Poi certo, quel giochino di potere sempre uguale, quelle facce monoespressive, quel sangue a ricoprire ogni spessore psicologico, qualche perplessità me l’avevano suscitata. Ma soprattutto, poi ho visto “Narcos 3”. E i dubbi sulla reale caratura di “Gomorra” si sono fatti certezze.

Damian Alcázar

D’accordo: l’operazione di Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro, i creatori di “Narcos”, è diversa e per certi aspetti opposta a quella di Roberto Saviano. Loro hanno drammatizzato fatti reali, lavorando su personaggi in carne ed ossa, realmente vissuti (molti ancora in vita); mentre in “Gomorra” gli spunti della vera cronaca sono stati iniettati in una storia e in figure di fantasia, sebbene ispirati a fatti e persone reali. Ma in un caso e nell’altro si trattava di raccontare una realtà, quella del mondo criminale legato al traffico di cocaina in grande stile, con la sua organizzazione, le sue logiche, la sua morale. Dunque un paragone su questo terreno si può fare. Con quali risultati?

Il cast di “Gomorra”

Al centro di “Narcos 3” c’è un dramma: il cartello di Cali, che ha preso il posto del defunto boss di Medellin Pablo Escobar (la cui ascesa e caduta è stata raccontata nelle prime due stagioni della serie), sta trattando la sua resa con le autorità statali. Il boss Gilberto Rodriguez Orejuela (Damián Alcázar) ha in tasca un accordo con il governo in base al quale il cartello di Cali si ritirerà volontariamente dal traffico di cocaina e conserverà gran parte del suo patrimonio per riciclarsi nel mondo del business pulito. Una svolta storica. Ma c’è un problema, anzi ce ne sono tre.

Francisco Denis e Damian Alcàzar

Gli altri capi dell’organizzazione, il fratello frustrato Miguel Rodríguez Orejuela (Francisco Denis), l’ambiguo, distinto e psicopatico Helmer “Pacho” Herrera (Alberto Ammann) e il rude e spietato José “Chepe” Santacruz-Londono (Pepe Rapazote), non sono troppo convinti e restano in bilico tra fedeltà al capo e tentazioni criminali autonome. Secondo problema: sulle tracce del cartello c’è un agente della Dea americana, l’eroe positivo Javier Peña (Pedro Pascal), uno che non guarda in faccia a nessuno e ha come unico obiettivo assicurare alla legge (americana) i boss del narcotraffico internazionale. Terzo e più importante degli ostacoli al progetto di resa condizionata dei boss di Cali è il fatto che intorno a loro hanno costruito un sistema di connivenze basato sulla corruzione che conta migliaia e migliaia di fiancheggiatori prezzolati ad ogni livello. Politici, poliziotti, magistrati, sono in gran parte nel libro paga di Cali. Così come tantissimi cittadini sono impiegati a diverso titolo nel traffico. Cosa sarà di tutti loro il giorno in cui l’organizzazine uscirà dal business?

Pedro Pascal

“Narcos 3” racconta quindi questo dramma. Non una lotta di potere ma l’impossibilità per un sistema criminale di convertirsi pacificamente. L’ineluttabilità del male, potremmo dire. Investigata e illustrata in tutte le sue zone grigie, con tutti i conflitti interni che prevede. In un affresco pieno di sostanza drammaturgica, con le note più alte nelle figure del tormentato capo della sicurezza del cartello Jorge Salcedo (Matias Varela) e del viscido capocontabile dei boss Guillermo Pallomari (Javier Càmara).

Javier Càmara

Ed è qui, a mio avviso, che “Narcos 3” ha superato nettamente “Gomorra”. Più ancora che nella capacità dimostrata dagli autori di saper costruire una trama avvincente e complessa, con un meccanismo di suspance crescente che ti tiene incollato allo schermo fino all’ultimo frame; l’aspetto più soddisfacente di “Narcos 3” è nell’averci spiegato come e perché la realtà dell’organizzazione criminale di alto livello sia un dato assoluto. Contraddittorio quanto si vuole ma non barattabile o trasformabile. Non si può uscirne. Non si può mandare tutto all’aria.

“Gomorra”

Ma c’è altro ancora, a favore di “Narcos 3”. Forse la cosa più importante. A dispetto di quanto Saviano si affanna a dire fin dalla prima puntata della prima serie, negli antieroi tragici di “Gomorra” ci si può immedesimare eccome. L’assenza di eroi positivi spinge lo spettatore a scegliere tra le due o più versioni del male che si affrontano. L’istinto ci porta a “tifare” per l’uno o per l’altro. Altro che allontanarci dalla mentalità criminale! “Gomorra” ci immerge lì dentro e non ci offre alternative. Al contrario, non ci si può identificare così fatalmente in Gilberto Rodriguez o in qualcuno dei suoi soci e scagnozzi. Non c’è nulla di eroico o antieroico in loro. Di più: non è neanche tanto facile sentirsi nei panni di Javier Peña, questo poliziotto non immune agli errori, anche grossolani. Tutt’al più ci si confronta con le tensioni interne ai vari personaggi. In modo particolare in quelle di Salcedo, il freddo organizzatore della sicurezza preso in un giro più grande di lui.

Matias Varela

Una bella differenza rispetto alle statuarie figure di “Gomorra” viste fin qui. Tagliate con l’accetta, lanciate contro la frontiera, epicizzate. Così è, a mio vedere, nella speranza che l’imminente “Gomorra 3” effettui il controsorpasso.

Sergio Gamberale

 

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