Occhio ragazzi, il progresso della tecnica comporta seri rischi! Quei telefoni sofisticati che portiamo in tasca, insieme all’intelligenza artificiale, la connessione perenne, la geolocalizzazione e tutto ciò che connota il progresso tecnologico moderno, stanno cambiando profondamente la società e i sentimenti umani. E li stanno cambiando in peggio. È questo il messaggio apocalittico di una delle serie di fantascienza più fortunate del panorama attuale.
“Black Mirror”, ideata e prodotta da Charlie Brooker e in onda per la prima volta il 4 dicembre 2011, è una delle serie che hanno riscontrato maggior successo negli ultimi anni. Considerata “mini serie” per la lunghezza di ogni stagione che può variare dalle 3 alle 6 puntate (ognuna lunga dai 40 minuti a 1 ora e 20), in “Black Mirror” ogni puntata presenta una trama e dei personaggi diversi.
È fantascienza, ma non ci sono navi spaziali o alieni. Il conflitto che viene raccontato è tutto interno al mondo e agli uomini così come li conosciamo. E la visione è nera. La tecnica, ci dice “Black Mirror”, sta minando alla base non solo la società ma la nostra stessa essenza, i nostri sentimenti. L’uomo, abusando di essa, sta mutando natura, diventando più solo, più triste, più cattivo.
Tutti gli episodi sono infatti ambientati in un ipotetico e prossimo futuro in cui è un’invenzione tecnologica (non fantasiosa ma che già oggi possiamo vedere o prefigurare) a provocare conseguenze nefaste per l’umanità. Perché tra le mille opportunità che offre, ci sono anche quelle negative. Anche i semplici smartphone possono diventare strumento di persecuzione del più debole e addirittura di morte.
La tecnica è infida, in “Black Mirror”. Prima ti seduce, poi ti uccide. Nell’anima o addirittura nel corpo. Paura e inquietudine sono dunque i sentimenti che “Black Mirror” suscita, tra suspance, mistero e spunti di riflessione. Per un controcampo a tinte fosche degli entusiasmi che accompagnano ogni presentazione di un nuovo modello di smartphone.Giacomo Gamberale
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