L’hanno lanciata come la nuova “Breaking Bad”. Pessimo fishing. Esca da tonni per andare a sardine. “Ozark” sta all’epopea di Walter White come un sorso di sambuca a canna sta a una coppa di Barbaresco ben ossigenato.
Il paragone tra le due serie ci sta, intendiamoci. Per analogie e soprattutto per contrasti. Ma è un confronto in cui “Ozark” esce con le ossa rotte. In sintesi: sia qui che là, un antieroe invischiato in giri loschi e molto pericolosi che lotta per salvare se stesso e la sua famiglia. Contro cartelli della droga, killer senza scrupoli, detective a cazzo dritto. Tra milioni di dollari come fossero noccioline, gangsters locali infidi, beghe familiari rompicoglioni. Ma se “Breaking bad” è un fuoco viscerale che brucia in un deserto esplosivo; “Ozark” è una pisciatina cerebrale che zampilla in un lago gelido e immobile.
Personaggi a tutto tondo contro figure impalpabili. Sentimenti in primo piano contro razionalismi fuori campo. Carnalità solare contro plumbea cerebralità. Emozioni e spessori diametralmente opposti. E ben diversa caratura del tutto.
Vogliamo parlare di Martin Byrde, l’eroe di “Ozark” interpretato da Jason Bateman? Un nerd cornuto tutto cervello e niente palle. Sempre glaciale, razionale, sfuggente. Un viscido calcolatore che la intorta a chiacchiere e numeri. Ricicla cifre a sei zeri con la faccia di uno studente che risolve un’equazioncina. Persino l’algida moglie Wendy (Laura Linney) lo sopporta a fatica. Non è un caso che si sia fatta una storia a luci rosse con un altro. Non ci fosse da salvare la pelle, lo lascerebbe da solo a vedersela coi due figli: l’adolescente acida Charlotte (Sofia Hublitz) e Jonah, il ragazzino pazzoide interpretato da Skylar Gaertner. Invece no, almeno nella prima stagione.
Intorno a questa famiglia “normale”, Bill Dubuque e Mark Williams, gli autori di “Ozark”, hanno piazzato una manica di psicopatici. Un cinico moribondo, una famiglia di delinquenti svitati, un prete esaltato e altri cervelli da manicomio. Tutti lì, sulle sponde del lago, a esaltare le acrobazie mentali di Martin e a solleticare le eccitabili sinapsi di un pubblico da psyco-crime di seconda serata.
Indurre a chiedersi “come si salvano stavolta?”, “che si inventa quel furbo?” o “cosa vorrà quel tipo?” non è il giochino mentale giusto per attirare i fans di “Breaking Bad”. Quelli, c’è da scommettere, attenderanno la piena che li porti via tutti.Sergio Gamberale
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