Come si fa a non voler bene a Dev? È così tenero, con quegli occhioni buoni e lo sguardo stralunato, nel suo idealismo naïve. E come non tifare per lui, nella sua candida ricerca di una normalità negata?
Strano e simpatico, il personaggio interpretato da Aziz Ansari in “Master of none”, ti prende per mano e ti porta nel suo mondo, raccontandosi per quello che è. Un trentenne di origini indiane che combatte le amarezze della vita quotidiana con la sua naturale dolcezza. Non ti fa sbellicare dalle risate ma ti mette di buon umore. E ti conquista. Sia che, da attore sfigato, sbarchi il lunario a New York interpretando spot di terz’ordine (prima stagione); sia che, da amante abbandonato, fugga in Italia per imparare a fare la pasta (seconda stagione, con Mastronardi e Scamarcio).
Ansari e Alan Young, che hanno scritto la serie, hanno messo al centro della commedia il confronto comico tra l’outsider Dev e una società dai valori confusi, piena di contraddizioni, in cui essere in minoranza è condizione della maggioranza. La frizione con l’ambiente dà alle vicende di Dev un tono a tratti elegiaco, malinconico. Ma alla fine, ed è questo che rende a mio parere “Master of none” irresistibile, è la dolce purezza del suo sguardo a sconfiggere l’amarezza del contesto. Non viceversa.
Questo piccolo, debole indiano dall’animo buono riesce insomma ad avere la grande forza di volgere in positivo ogni evento negativo. Solo grazie al suo personale modo di guardare e interpretare le cose. Come bere una buona tisana e rimettersi in pace col mondo. Un bel messaggio di ottimismo che è valso a “Master of none” successo e premi. E che ha portato alla ribalta un nuovo protagonista della scena comica internazionale. Un attore originale e un autore di spessore.
Non chiamiamolo “Woody Allen indiano” o “nuovo Peter Sellers”. Aziz Ansari ha uno stile comico tutto personale, basato su umorismo e autoironia. Niente battute strapparisate o arguzie raffinate ma trovate spiazzanti e buffe in un’atmosfera di dolce malinconia. Armi bianche ma ben affilate, al servizio di una critica sociale sussurrata con amabile eleganza.
Sergio Gamberale
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